La Sicilia

La Sicilia come descritta dalla messinese Rosa Cutrufelli 29/3 2020 nell’intervista “Fa impressione questa Sicilia isolata” In Repubblica edizione locale di Palermo

un luogo di approdo, dimescolanza e ibridazione che ora si chiude

La Sicilia è, per sua natura, un luogo di approdo, una specie di piattaforma in mezzo al Mediterraneo, più volte invasa, più volte colonizzata. E le colonie, come si sa, sognano l’autonomia e a volte anche l’autarchia, il sogno di bastare a se stesse. Ma la mescolanza, l’ibridazione, è la loro storia e la loro cultura. Ecco perché fa tanto effetto questo isolamento dovuto all’emergenza virus, questo rinchiudersi ‘”a tana” che, considerando le nostre vicende umane, sembra un po’ contro natura».

Il rapporto contradittorio con il mare, fonte di pericolo e lavoro

Sciascia coglie da par suo il rapporto contraddittorio dei siciliani con il mare. Per secoli, il pericolo è venuto dal mare, le invasioni, i pirati, gli eserciti. Perciò la gente si spostava nell’interno e costruiva paesi che voltavano le spalle al litorale: lontano dagli occhi, lontano dal cuore, come si usa dire. Così è nato anche Graniti, il paese dell’entroterra taorminese dove ho vissuto durante la mia infanzia. Ma non sempre e non per tutti il mare era nemico. Per molti, al contrario, era fonte di sostentamento, di lavoro. Prima per i pescatori, poi, con le vacanze di massa, per gli operatori turistici. È stato il turismo ad addomesticare il Mediterraneo. Ma oggi purtroppo stiamo tornando indietro e il nostro mare è di nuovo avvertito come un pericolo. Un luogo di morte per i tanti disperati che scappano dai lager libici, dalla fame e dalla desertificazione di intere zone del nostro pianeta».

Lo stretto di Messina, metafora delle opposte esigenze

lo Stretto di Messina rappresentava la voglia di fuga dall’Isola e al tempo stesso la nostalgia, il bisogno del ritorno. E Scilla e Cariddi, i guardiani delle sponde, erano lì a ricordarmi la complessità dei nostri desideri, il nostro eterno dibatterci tra opposte esigenze. Era bello progettare la fuga, ma era anche doloroso. La verità è che quel braccio di mare, come scrive Vincenzo Consolo, è la metafora stessa dell’esistenza: “lo stretto obbligato, il tormentato passaggio in cui l’uomo può perdersi, può perdere la ragione, imbestiandosi”».

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